La rottura si fa definitiva nella guerra contro gli amaleciti. L’ordine di Dio che passa attraverso le parole che Samuele rivolge a Saul è perentorio: vincerai, ma dovrai votare tutto allo sterminio: uomini e bestie.
Così è, Saul e il popolo vincono e sterminio si fece, ma non si toccò il bestiame grasso e sano e neppure il re di Amalek, Agag.
Un atto di miericordia? Un’attenzione religiosa? Il bestiame infatti, così si difenderà Saul, fu accantonato per offrirlo a Dio. Oppure a spingerlo è stata la ferocia sadica di avere tra le mani il re nemico per umiliarlo a lungo nella derisione e nella prigionia?
Oppure è la ricerca di sè, la difesa di un ruolo, l’incertezza sull’equilibrio di Samuele, sulla sua reale ispirazione?
Ombre, fatiche, contraddizioni, un rapporto con Dio attraverso un rapporto umano faticoso, non chiaro e contraddetto come quello che lega Saul a Samuele.
La condanna e la sentenza è, comunque, data e udita ed è inesorabile: un altro il re e la morte violenta per Saul.
Quando gli eventi porteranno là verso quella fine minacciata ritorna il rapporto con Samuele ormai morto ed evocato da Saul attraverso la negromante. Ma se Saul, contro la legge di Dio e la sua stessa, va da una negromante, lo fa per cercare Samuele e sentire per l’ultima volta la volontà di Dio attraverso la sua bocca o per rompere definitivamente con loro?
(Prima di continuare nella lettura, puoi leggere 1 Samuele 28,3-24 che trovi qui)
“Saul morirà, sconfitto e forse con nel cuore queste parole: Dimmi Signore dell’universo, perché mi hai sollevato così in alto se avevi in mente di spingermi tanto in basso? Perché hai deciso di farmi re solo per ripudiarmi, e per qiuale ragione? Per non essere capace di uccidere un essere umano, così, faccia a faccia? Sapevi fin dall’inizio che David sarebbe stato re, e che la sua discendenza, non la mia, sarebbe durata per sempre. Perché avevi bisogno di me? Perché hai fatto di me uno sciocco, un carnefice? Perché mi hai fatto recitare una parte sul palcoscenico di David senza dirmi che era soltanto un gioco?”
(o.c. p. 73)